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Venerdì Santo

 

Giardini pubblici

Il torrione del castello

Dietro ai colli si è levata la terza luna, tonda, rossastra, solenne, a riempire del suo faccione il cielo primaverile; qualche massa bianca veleggia nell'azzurro e spegne di tratto in tratto il grande occhio luminoso. Tra le chiome della pineta il vento canta la prima nenia agli usignoli, i mandorli e gli albicocchi sono un trionfo di bianco sui pendii. E' giorno di mestizia il Venerdì Santo ma la natura non conosce, in aprile, che il tripudio della resurrezione. I misteri della settimana santa sono per gli uomini, per gli svagati che, fatti schiavi dalle tribolazioni del giorno, non sarebbero forse disposti a sollevare la schiena, neppure per godere l'incanto di una fiorita, neppure per contemplare la fine del loro patire. E nel giorno più triste della settimana di mestizia la città trova l'occasione per anticipare il gaudio pasquale. Da secoli il Venerdì Santo in Este vive di una sua tradizione popolare; non saranno le rievocazioni medioevali delle città dell'Italia centrale e meridionale, non saranno le interminabili processioni con le figure della Passione, nè le luminarie spumeggianti dei cieli mediterranei. Da secoli Este commemora la tragedia del Calvario attorno al suo Crocefisso che accompagna per le vie senza una bandiera, senza un fiore, nell'ora della tenebra più fonda, quando la terza luna piena non ha fatto ancora capolino dietro i colli. Da secoli l'avvenimento religioso riesce a scuotere il pigro torpore delle serate estensi. Fin dal primo pomeriggio le case che si affacciano lungo il tradizionale percorso entrano in agitazione: c'è da rassettare i drappi rossi orlati d'oro che sono rimasti per tutta l'invernata nel fondo degli armadi, c'è da spolverare le larghe foglie delle pisistrie o da chiedere a prestito le sgargianti primule fiorite, c'è da racimolare le lampadine per l'illuminazione delle finestre, dei poggioli, dei davanzali, delle logge, degli archi. Il tramestio si svolge all'ombra delle tendine, nelle stanze interne, ai primi piani perché di quassù le lampade lanceranno i loro fiotti sulla strada, sulla folla, sul Cristo che muoverà lentamente sotto il baldacchino nero. A queste finestre alzeranno gli occhi i buoni villici del contado ammirati per tanta luce profusa senza economia.

Este

Gabinetto di lettura

Anche il Duomo veste di luce la sua facciata nuda e il bosco di Villa Benvenuti cela fra le fronde una croce nera che a notte risplenderà come torcia vivente. Ai tempi della nostra infanzia ogni contrada voleva il suo arco con decine di lampade; il Ponte di S. Francesco e la Torre di Porta Vecchia disegnavano la loro architettura con altre lampade a centinaia. Sotto il mastio del castello, tre croci rievocavano il colle del martirio. Dappertutto, accanto alla moderna luce elettrica trovavano posto anche i moccoletti protetti dalla velina rossa, azzurra e verde e i variopinti palloncini veneziani che dondolavano alla brezza del plenilunio. Tanta parte di quel materiale è oggi scomparsa, imbucata tra le morte cose di vecchie soffltte: un lusso da generosi di un tempo la cui progenie va scomparendo anche nella nostra città. Fin dal primo pomeriggio sono in fermento soprattutto i negozi. Nei retrobottega i garzoni lustrano fino all'inverosimile tutte le parti metalliche e i vetri delle impalcature che risplenderanno poi in ogni angolo della bottega. All'ombra delle discrete cortine di tela o della sapiente mano di sidol distesa sul cristallo, che escludono occhi profani, i proprietari bisticciano con le consorti per approntare la vetrina. Chi vuole impossibili castelli di scatolame in equilibrio instabile, chi propende per una nutrita rappresentanza di ogni articolo consentito o tollerato dalla licenza comunale, chi pensa solo ai tradizionali simboli che fanno molto Pasqua, chi opta invece per uno o due oggetti disposti con accorta regia tra rami fioriti di autentico pesco. E le discussioni continuano tra un ritocco e uno spostamento, tra una sbirciatina data all'esterno e un consiglio dell'amico che passa. E' la festa dell'abbondanza: macellerie stipate di quarti enormi di bue, ognuno col suo nastrino tricolore, pasticcerie rigonfie di uova spropositate avvolte in carte colorate con creste alla Pompadour, alimentari con plotoni di bottiglie allineate impavide per il sacrificio supremo, boutiques con meraviglie, non ultima quella del prezzo. Il tutto nella piena luminosità dei riflettori delle lampade fluorescenti: una festa per gli occhi, una tentazione per la gola nel dì del digiuno, un sospiro per la vanità che si contenta di sognare.

Este

La torre di Porta Vecchia

Non c'è suono di campana che annunci il morire del giorno, nè squillo che richiami alla mesta cerimonia, eppure il piazzale del Duomo si riempie in fretta molto prima dell'ora stabilita. Vengono dai borghi vicini, dalla periferia le famiglie intere e il primo giretto è per le vetrine del centro. La luce piove da ogni angolo e pare giorno estivo: tutto risplende, tutto è fantasia di colori violenti per una città di nababbi orientali. Per una sera si può avere anche la illusione di credere Este un bazar da Mille e una notte. L'occhio punta sui negozi che riescono a trattenere il maggior numero di curiosi, perché si tornerà a mirare con più calma le trovate pubblicitarie dopo la processione, quando i buoni cittadini di Calaone avranno lasciato il posto agli estensi meno assonnati. Sul sagrato gli universitari trovano il modo di sfoggiare i variopinti cappelli gogliardici, dai quali hanno accuratamente levato tutti gli ornamenti non perfettamente intonati con la circostanza e si palleggiano le lunghe aste che sorreggono il baldacchino. La sfrenata fanciullezza trova motivo di dar saggio della propria velocità sgusciando fra i crocchi composti, scavalcando i paracarri. L'ombra del vecchio campanile si fa amica di strenue partite a nascondino e non può che sorridere discreta al chiasso, anche se inopportuno in una giornata come questa. Nella chiesa il Cristo spalanca le braccia inchiodate, poi avanza lentamente sulle spalle dei portatori e al muovere ritmato dei passi sembra straordinariamente vivo. La processione si incolonna tra il salmodiare di una folla a capo chino e il canto di pietà segue la cadenza del lento andare. Da ogni finestra le lampade inondano le vie di luce; le volte dei portici non illuminati hanno il sogghigno della perfidia. Nella piazza il corteo si arresta per la benedizione che scende su un popolo improvvisamente ammutolito al suono roco dell'asse sbattuta dal chierichetto. Il coro ha cantato gli "Improperi", una melodia insolita per i nostri orecchi, e il salmodiare è ripreso fino al rientro nel Duomo.

Colli Euganei

Ginestra odorosa

A cerimonia ultimata pare già Pasqua. Le famiglie si ricompongono, le coppiette si ritrovano per degustare l'ultimo giro ai negozi. Non si sa come gli sia capitata in testa, ma la trovata di rivestire gli agnelli scannati con i calzoncini e le maglie da ciclisti o da calciatori ha sfondato: quella vetrina blocca il traffico sotto i portici. I manichini "stilé" delle confezioni vestono tutti primavera e cavano dal profondo sospiri di desideri nelle signore che si sentono terribilmente svestite con quegli stracci che portano dall'anno scorso; i distratti accompagnatori fingono di non udire, per via di quei cartellini diligentemente in mostra accanto ad ogni modello. Il centro dei sospiri e dei cupidi sguardi delle fanciulle restano le gioiellerie: oro, collane, braccialetti, pendagli, parures, rubini, smeraldi acquamarine, brillanti. Chi pensa che ci sia miseria non ha davanti ai suoi occhi tutte le meraviglie di queste vetrine. Davanti a tanto splendore le future si stringono con più passione al braccio vicino e, se non fosse per tutta quella gente e la luce, le manifestazioni assumerebbero un altro tono. Il Venerdì Santo tramonta, mentre la luna piena raggiunge il suo culmine nel cielo. Le luci si spengono, davanzale per davanzale, vetrina per vetrina e il silenzio della tristezza torna sulla città. Ma la Pasqua è alle porte; dopo la mestizia verrà più gradita la gioia della resurrezione.