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Sul Gemola

 

Monte Gemola

Il convento - Il portale d'ingresso

Quasi in pellegrinaggio ai luoghi che videro fiorire la giovinezza e la santità della Beata Beatrice d'Este nel lontano XIII secolo, ho voluto percorrere le strade che più di settecento anni fa Ella calcò e che nella quiete sonnolenta del nostro aprile festoso serbano la sottile malia di questa terra feconda ed antica. Dal Castello di Este, per la porticina che la leggenda dice varcata dalla Principessa della illustre Casa Marchionale, la strada sale dapprima tra le mura coperte di edera e di muschio, poi sfocia nell'ampia via serpentina che le esigenze del traffico moderno hanno ora spalancato. Ai tempi di Beatrice doveva essere una diruta mulattiera da percorrere solo nelle ore diurne; ora l'auto dei miei giovani accompagnatori le scivola sopra sicura fino a Calaone. Qui era un altro castello degli Estensi, preveggenti le sfortunate vicende che portarono, nel 1214, la distruzione della splendida dimora in città. Dal sagrato pieno di sole, su a Calaone, si diparte una carrareccia che la nostra macchina infila, imbarcandosi in una avventura che solo lo spirito giovanile di Pino, di Andrea e di Piero possono trovare piacevole. Ogni rumore di vita civile si spegne improvvisamente per questo viottolo che porta al Colle Salarola. Le vigne sui tesi filari hanno il verde tenero dei pampini appena schiusi; i ciliegi gonfiano i frutticini che spuntano tra i petali morti; le robinie e i castagni rinverdiscono nella quiete e nel silenzio di questa conca selvaggia. Visto di sotto il Colle Salarola presenta contrafforti trachitici anneriti dal tempo sui quali si arrampicano l'edera e il rovo e degradano gli stretti terrapieni ammantati di ulivi e di viti. Sulla piccola vetta si trovano ora una stalla e due casette contigue.

Monte Gemola

Il convento - Lato posteriore

Sull'aia petrosa due grossi pilastri sono i soli, muti testimoni di una passata grandezza che il tempo si sta divorando inesorabile. "Ci vorrebbero i soldi di un Marchese d'Este per conservare e rimediare un po' quello che il tempo si porta via" - mi confida uno dei sei fratelli che ora campano sul fondo. La chiesetta del convento, ove maturò la decisione di Beatrice di farsi monaca dell'ordine di S. Benedetto e trascorse il tempo del suo noviziato, è ora una poverissima stanza da letto e tra le imposte sconnesse di una porta vetusta e le inferriate di una finestrella il vento di gennaio deve circolare come un'anima in pena. Povere cose e miseri resti testimoniano in questo opprimente silenzio la caducità delle opere dell'uomo. Ciò che rimane è l'opera di Dio, questo rinverdire perenne della natura intorno, questa meraviglia che si stende ai piedi del colle, i primi contrafforti degli Euganei e più lontano la pianura inondata di sole... e i suoi santi che dopo secoli sono più vivi che mai. Di vivo restano qui ancora alcuni scalzi ragazzini che ci salutano sorridenti mentre riprendiamo il nostro peregrinare. La via per Valle S. Giorgio che la monaca benedettina Beatrice percorse a piedi, salmodiando con le consorelle, in sul finire di maggio del 1221, è rimasta la mulattiera di allora: macchie di rovi e strapiombi su "calti" gorgoglianti, buche e sassi, salitelle e ripide discese che non impressionano per fortuna, l'abilità dell'autista Pino. Piero e Andrea devono scendere ogni tanto per allontanare gli ostacoli più ingombranti, per dare una spinta qui dove a stento riescono a passare i carri a due ruote dei montanari che vengono a raccogliere le fascine ammonticchiate nell'inverno. Valle S.Giorgio ci presenta le sue poche case raccolte intorno alla chiesetta e al campanile aguzzo, più lontano la cerchia dei colli verso Arquà Petrarca apre la sua magnificenza di poggi e di cime di vallate e di prati, punteggiati di bianche casette e tagliati da sottili nastri di strade contorte.

Monte Gemola

Il convento - Sentiero d'accesso

Per salire al Gemola bisogna ancora inerpicarci ma la via è più agevole e le curve e i salti e tratto al diciassette per cento non fanno più paura ai mezzi moderni. Sul colle restano le mura vetuste che circondano il fondo di venticinque ettari, restano il muro interno che cingeva l'area di duemila metri ospitante il convento, la chiesetta, i cancelli in ferro battuto, i due pozzi, l'orto; resta questa serenità di cielo e di natura che invitano all'alto. Davanti alla bassa villetta, dalle settecentesche linee architettoniche delle costruzioni eseguite per la villeggiatura dei nobili patrizi veneti, si allarga il cortile su cui muove i primi passi il paffuto bambinello del fattore, vegetano alcune aiole cinte di bosso e alcuni noci. In un canto allarga la sua mole la fattoria. La prima visita è per la chiesetta; l'unico altare ha tre statue: S. Giovanni Battista, B. Beatrice, S. Francesco; la pala di fondo è opera mediocre con un'effige, oltre alla Madonna con Bambino e S. Giovanni Battista, della Santa Principessa, che mi è sembrata un orrore. Sul pavimento alcune lapidi ricordano certi Conti, abitatori del luogo ed ivi sepolti; verso la porta due lapidi interessanti del 1500. Abbiamo voluto salire sul campaniletto arrampicandoci come gatti su per alcuni gradini di ferro incastrati nel muro. Una campana del 1873 ci fa ricordare come sempre quel luogo sia stato, attraverso i secoli, dedicato al culto. Ma dalle finestrelle del campanile quale spettacolo! Il monte Rusta nasconde quasi la mole del Venda; Cinto si adagia ai piedi del suo monte, più lontano Lozzo e il suo colle imponente e attorno altri colli virenti nella placidità primaverile. Qui il silenzio è interrotto dal cinguettio dei passeri e la serenità azzurra dai nuvoloni primaverili; qui si comprende come, allontanato il mondo, si possa sentire soltanto il richiamo di Dio.

Monte Gemola

Il convento - Giardino posteriore

Un portale incorniciato di edera ci fa passare nel piccolo orto, su cui trionfano ora i pampini della vite moscata; un vialetto di archi di ferro ci conduce al muro della cinta interna, fino ai resti di un davanzale che si apre su un panorama forse fra i più cari al cuore di Beatrice. Ci siamo figurati qui il pensoso sostare della pia vergine, quando le indubbie ore della nostalgia terrena conducevano il suo ricordo ai suoi cari e ai luoghi della sua vita principesca. Di qui si para agli occhi la dolce Valle S. Giorgio e la mole oscura del Cero; di qui si scorge lo sperone del Salarola proteso su Baone; di qui spunta il Monte Castello di Calaone, su cui forse ai suoi tempi erano rimasti il fratello Azzin Novello e le altre principesse estensi che l'avevano accompagnata poco prima fino al suo volontario romitaggio. Lo struggente richiamo degli affetti terreni non può non aver preso una fanciulla così nobile di sentimenti e così pura nei suoi affetti. Pensiamo anche così la Beata Beatrice, figlia della nostra terra, perché anche noi, figli di questa stessa terra, ne sentiamo l'istesso struggente richiamo. Al ritorno da questo davanzale proteso sulla terrestrità, siamo tornati sul cortile ad osservare l'area e il breve recinto del cimitero. Ora vi rigoglia la vite e i secoli hanno ridotto a vera, povera terra tante spoglie di fiorenti giovinezze e di pensose maturità che in circa trecentocinquanta anni si richiusero nel cenobio benedettino. E il nostro pellegrinaggio si concluse così: fra queste mura annerite dai secoli, tra questi richiami della nostra terra feconda ed antica, di questo nostro cielo che ci sovrasta e ci invita prepotente ed insistente, qui, dove ebbe culmine e gloria il terreno peregrinare di una principessa estense che "fra tutte le nobiltà preferì quella dello spirito". L'auto veloce ci riportò tra il frastuono della vita quotidiana, stranamente pensosi e silenti dopo questo tuffo ossigenante in un'aura d'altri tempi, in un'atmosfera di beatitudine anche terrena. Il Gemola conserva anche oggi e sa donare nella sua semplicità primordiale l'acuta nostalgia di cose che non sono del nostro secolo, ha un invito suadente per quanti vi cercano traccia del dolce passaggio di Beata Beatrice.