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Nebbia

 

Colli Euganei

Panorama con Nebbia

Al ritorno di S. Martino, novembre non tradisce le nostre aspettative di una breve estate, anche se sui colli le ultime foglie accendono macchie brunastre di quel colore che va confondendosi con la terra arata. Sotto il monte Castello, ai piedi del Cero, lungo le forre e i "calti" che scendono precipiti verso la Calaona o Valle S. Giorgio i vecchi castagni si intiepidiscono ancora un poco. Le foglie lanceolate, color d'ocra, nascondono i ricci spinosi e turgidi; qualche frutto sguscia precipitando con un tonfo secco sul tappeto crosciante. S. Martino richiede per la sua festa i marroni arrostiti e il vino nuovo. Una volta nella nostra zona e per un raggio di molte leghe attorno, tutto il prodotto veniva da questi colli: marroni lucenti, gonfi, di un caldo bruno tizianesco che, arrostiti sulla brace viva, ridevano dal taglio con una polpa bianco-giallognola di un sapore squisito. Ti impastavano la bocca e solleticavano tutte le papille gustative fino al profondo. Una specialità, se furono visti anche a Parigi, in bella mostra su ceste infioccbettate, con tanto di cartello "marrons de Calaon ". La storia ci ha lasciato notizie di un Corelio atestino che sotto le aquile di Roma, tra i sudori delle battaglie e gli ozi degli accampamenti, ebbe il tempo di dedicarsi alla coltivazione dei castagni e all'insegnamento di pazienti innesti ai contadini della Campania. Non passò alla storia per imprese guerresche, ma solo per i marroni. Che sia stato un calaonato questo Corelio? Quelli di adesso, i vari Ferraretto e Bonato, che da secoli ruspano i dorsi collinari di Calaone, hanno l'amarezza di veder scomparire anno per anno il frutto famoso. Tarli assassini rodono il tronco delle vecchie piante, bruchi immondi si sviluppano all'interno del riccio. Al tempo della raccolta la scorza lucente del marrone nasconde al primo sguardo la rovina interna; poco dopo la bacchiatura il mucchio dei ricci è un ammasso di immondizie.

Colli Euganei

Panorama con nebbia

Per questo a S. Martino non si trovano più dalle nostre parti i marroni nostrani. Ci resta per fortuna il buon vino bianco che si sposa egregiamente anche con gli altri tipi di castagne provenienti dall'Appennino o dalla stessa Campania beneficiata dal nostro antico concittadino. Passata la marronata, che offre sempre un ottimo pretesto per incontri di famiglie, di associazioni o di circoli, l'inverno batte già alle porte. Guardando dalla pineta verso la pianura, quando l'arco del giorno è al suo termine si vede la bruma serale confondere ogni prato ed ogni campanile, mentre il sole si annega in un mare di vapori. Quell'azzurrino che si mescola al fumo dei camini, che stagna immobile sulle terre arate, è il primo segnale della nebbia, la padrona di casa della nostra pianura. Ti rinchiudi in casa perchè brividi lunghi percorrono la schiena, ti addormenti pensando al sole sfolgorante che eri abituato a trovare nei tiepidi mattini del settembre e all'indomani, mettendo il naso fuori dall'uscio, sei accolto da un velo impalpabile, biancastro, diffuso: nella notte la nebbia è calata. Deve essere un dispetto che le terre grasse della Lombardia ci fanno mentre noi dormiamo. La rocca sgretolata de " La Torre ", avamposto verso Ospedaletto e il montagnanese, non riesce mai a respingere questo nemico implacabile e litigioso, come faceva ai tempi dei Marchesi con gli assalitori prezzolati dai Visconti o dai Dalla Scala. I battaglioni della "fumara", sospinti dal vento di garbino, scavalcano il Frassine e i vari canali, imboccano la Padana Inferiore, le vie Pilastro, Maganza, S. Pietro e Caldevigo, prendono d'assalto le case, le chiese, le torri, penetrano nel castello, si arrampicano fino in pineta: non c e più scampo per noi. L'invasione si fa totale quando il dominio si estende ai giardinetti, agli orti, nei cortili chiusi ad imbuto e oltrepassa la città dalla parte della stazione, verso la piana di Solesino. Allora gli alberi spogli piangono lacrime di silenzio che tonfano sulle foglie cadute, le reti metalliche piangono gocce che si rincorrono lungo i fili, i cavi aerei della corrente elettrica lasciano sul terreno sottostante una linea di gocce grandi e ineguali. La nebbia penetra nei polmoni, appanna le lenti, ovatta di malinconia le giornate brevi che ci portano al Natale.

Colli Euganei

Albero solitario

Ti fanno quasi rabbia quelli che, smontando dalla macchina o dalla corriera davanti al Borsa, ti vengono a declamare davanti al naso: " Che fumo qui! A Padova c'era un sole... La nebbia, l'abbiamo incontrata a Monselice e siamo entrati come nella notte ". Questo privilegio che hanno i padovani è quello che ti aggiunge un motivo di più alla stizza e alla malinconia che già hai per la " burana " fastidiosa padrona di queste terre ridotte ad una appendice del Polesine nei bollettini meteorologici che annunciano nebbie in Val Padana. Noi siamo l'argine sul quale si infrange l'avanzata della nebbia, i Colli Euganei un vallo protettivo per il territorio orientale, le lingue collinari del castello estense, del monte Cecilia, del monte Ricco e della Rocca di Monselice i baluardi meridionali che ostacolano l'aggiramento della " burana ". Su a Calaone, quando l'umidità pesante non riesce a sormontare i pendii, c'è i1 sereno e puoi scorgere la linea del bagnasciuga dietro il Palazzo del Principe, sulla quale le folate del libeccio spingono i marosi della " fumara ". Sotto e fino all'infinito ribolle l'onda biancastra e lo spettacolo è poco diverso da una tempesta sul mare. Allora i Calaonati ci compiangono. Ma, a nostra volta, noi commiseriamo loro, quando si avvera il detto popolare: " Tre burane, una brentana ". In quel caso, il monte Cero si mette un berretto di nuvolaglia scura che, se arriva a coprire anche il monte Castello, me lo saluti il sereno di Calaonel " Quando el Sero fa el pan, se non piove ancò piove doman ". Non è piacevole neppure per quelli di Calaone avere acqua da tutte le parti e il capo avvolto da quel fumo che tanto poco delizia noi estensi durante l'inverno. Protetti dalle mura del Castello, sono fortunati in qualche periodo anche i Meggiarini.

Colli Euganei

La nebbia ai piedi dei colli

La nebbia preme a ondate fin sugli spalti merlati, nell'interno dei giardini e fino alla " giassàra ", ma non riesce ad attestarsi sul declivio che nasce da Meggiaro. Allora la città scompare entro una cortina di oscurità e di silenzio, mentre i ragazzi del quartiere sciamano nelle vie e per le strade che portano al colle, in una beatitudine di sole e di tepore. E' questo il momento in cui i cittadini del centro abbandonano la piazza per allungare i loro passi fino a Meggiaro, a curiosare sulle nuove costruzioni o a rubare un'ora di sole... E' un contentino che i fortunati della zona lasciano signorilmente ai nobili dei portici. Se non fosse che per il fumo, questo fenomeno meteorologico potrebbe avere anche un suo fascino. Il paesaggio muta aspetto ad ogni voltar di angolo e in fondo alla via puoi sognare palazzi e giardini che non sono, ma che la tua fantasia vorrebbe per la tua città. I fari delle macchine lanciano coni di luce come tentacoli mostruosi che assaggiano il terreno infido. Attorno ai lampioni le folate del "garbin" disegnano arabeschi gialli, lontano dai lampioni gli innamorati si trovano in zona di maggior sicurezza da sguardi indiscreti... Ma, attorno a Natale, la nebbia si accompagna sempre con il freddo crudele che appende ai rami, ai cavi aerei, alle sporgenze bianchi ricami di brina. I giardini si vestono di bianco, i pini davanti al castello si torcono dal peso, i camini fumano con maggior accanimento, i bilanci familiari ricevono scossoni irreparabili. La città e la campagna intorno, i colli e le siepi prendono un volto nuovo che noi non siamo soliti mirare. Per questo forse la nebbia e la brina hanno un lato che può piacere a taluno. In combutta con il gelo possono dare l'illusione della neve che ricopre il presepe, un surrogato che fa molto Natale. E a Natale si è sempre felici.