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La befana

 

Sotto il piazzale che allarga il respiro del Palazzo dei Principe verso il monte Murale il saggio architetto previde le capaci cantine destinate a conservare il dolce prodotto della tenuta. Nell'estate la villa dei Contarini, colpita in pieno dai raggi perpendicolari, offre il breve riparo dei suoi giganteschi cipressi e l'esile ombra degli ulivi contorti e di filari magretti. Contro la calura non resta che l'ampio cantinone, frigidaire un tempo alle capaci botti dei patrizi veneti, ora più modesto luogo di svago e habitat ideale per le numerose nidiate di pulcini che la massaia custode sforna a rotazione fin dai primi di aprile. Si scende dal piazzale per una scalinata di pietra e, se il grande portone, unico occhio di luce, è chiuso, si piomba nell'oscurità più fonda. Chissà quanti tremori di servette calate nella notte col lumino ad olio per far provvista di moscato per i padroni banchettanti avranno riempito di sussurri e di lacrime i silenzi dell'antro! Di sotto l'accesso è assicurato da una larga apertura nel terrapieno foderato di macigni che sostiene tutto lo spiazzo. L'edera antica si è abbarbicata da secoli al muro e produce le più grosse bacche per la fame invernale dei merli. Il sottostante bosco di castagni e di robinie filtra di verde tenero la luce che giunge silenziosa fino all'estrema parete della cavità. I tedeschi nell'ultima guerra hanno sfondato il piazzale in più punti: nel "canevon" c'era il deposito dei loro automezzi. Ora dalla volta scende uno stillicidio quasi continuo e le gocce continuano a sconvolgere il piano di terra battuta; non c'è altra voce dentro la cavità a tre scomparti, fuori non c'è che il vento. Tutto congiura a far credere che l'antro sia la dimora abituale di spiriti; i ragazzi della zona sono invece convinti che si tratti della casa della befana. Vi passano sotto con un certo reverenziale timore, sbirciando se tra le frasche compaia la ricurva figura intabarrata di nero o tendendo l'orecchio al leggero scalpitare del somarello. Quando la data fatidica del 6 gennaio si avvicina, più nessuno si azzarda a penetrare nel boschetto alla ricerca degli ultimi marroni nascosti fra il tappeto di foglie cadute: il luogo è tabù. Alla sera della vigilia la tradizione vuole i grandi falò di canne di granoturco e di foglie secche; ogni casa, dove ci siano fanciulli in età da gustare la poesia della befana, ha il suo, alimentato dalla pazienza dei nonni; i giovanotti sono impegnati a far salire la febbre dei bambini con le loro grida, le repentine scomparse e gli improvvisi ritorni.

Palazzo del Principe

A buio calato presto con la consueta nebbia invernale, non restano attorno al Palazzo del Principe che gli audacissimi grandi, mentre accanto agli usci gela il secchio dell'acqua fresca, vicino al mucchietto di fieno odoroso. Dentro le case si attende l'ora. Qui la befana non è il personaggio misterioso che fa di tutto per non farsi scorgere, che gironzola ad ore impossibili, che penetra con la gerla dei doni per i camini così piccoli; qui la befana è una buona vecchina in carne e ossa, con gobba strana ed una vocina filtrata, gira in ore "da cristiani", bussa alle porte, anche se non sempre garbatamente, prima di entrare e distribuisce le calze ricolme con le sue mani coperte da vecchi guanti sforacchiati. Non si capisce pero come mai qualche zia, proprio in quell'occasione, debba recarsi a trovare i parenti vicini e perda gli istanti più belli e propizi per vedere anche lei la "vecia". La tremarella, ai primi colpi gagliardi battuti sulla porta, diventa generale; gli angoli più lontani dall'ingresso sono presto occupati, le gonne materne non sono più sufficienti a far da scudo, i volti scoloriscono, anche i più audaci, che fino allora avevano armeggiato un bastone minaccioso al riparo delle seggiole naufragano nello spavento comune. Finalmente l'uscio aperto da una mano meno pavida lascia entrare la befana che, arcistanca del lungo viaggio, domanda proprio al più birichino la seggiola per riposare un po'. I convenevoli sono lunghi prima di stabilire un minimo di dialogo e far cessare il battito furioso dei cuoricini. Ma il disgelo è superficiale e la prova dei pochi passi da fare per agguantare i regalucci presenta le stesse difficoltà di un viaggio dalla terra alla luna. Da ultimo, con la compiacente mediazione materna le calze passano ai legittimi proprietari; la "strigheta" lancia le ultime raccomandazioni, si alza, esce, ritorna a minacciare blandamente col suo bastone e se ne va ciabattando con gli ultimi colpi alle imposte. Se fuori strepita il befanone con la catena del camino trascinata sul selciato dell'aia, chi toglierà dalla mente dei fanciulli la convinzione della realtà della befana? Con gli anni se ne andranno i fantasmi, ma la poesia un po' terrificante della buona vecchia resterà come uno dei più cari ricordi nella soffitta della memoria.

Il filare proibito

Tanto è vera e tanto è reale la befana che una certa combriccola ne conservava il terrore fino all'anno successivo e anche quando le audaci confidenze dei compagni più saputi insistevano a sussurrare un nome, era difficile scalzare le basi della sua storicità; essi l'avevano vista coi loro occhi, le avevano parlato, ne avevano avuto i doni, magari stando sulle braccia della mamma. Sulla befana si poteva giurare come sul Vangelo. Il più brigante era Cencio; lui, a chiacchiere, la "striga" l'avrebbe fatta a polpette, perchè nella sua calza trovava sempre un pugno di carbone autentico e qualche cartoccio di cenere. Ne avrebbe coperto di bastonate perfino il somarello, se l'avesse avuto tra le grinfie. Alla prova dei fatti era tutta un'altra faccenda, ma intanto guidava la banda su per i ciliegi, quando il primo rosso tingeva le guance ai frutti acerbi, su per i grossi peri nei pomeriggi di sole, lungo i filari non appena la luce, filtrando tra gli acini, dava a qualche grappolo la suadente trasparenza della maturità. Il più visitato era un filare da cui il padre cavava i primi cesti di uva d'oro da portare al mercato. Un passaggio di Cencio e dei suoi era peggio di una tempesta di luglio e a nulla valevano le sgridate, le minacce e le stesse punizioni. Bisognava escogitare un sistema più persuasivo. Il primo pomeriggio di un giorno fine agosto scottava le pietre sull'aia tanto che i polli vi passavano sopra in precipitosa fuga. I grandi erano a letto per il pisolino, dopo una mattinata intera di lavoro fisso; i ragazzi strepitavano dietro la casa nell'ombra breve. Ad un tratto disse la nonna: "Chi mi va a prendere un grappolo d'uva?".

Dove abita la befana

Un coro di : "Io, io" rispose prontamente e Cencio seguito dalla torma si precipitò per il viottolo verso il noto filare. Le vigne sui colli occupano sempre il ciglio del campo; sotto, la terra forma un gradone erboso che nasconde la vista di chi osserva dall'alto. E in quel giorno la brigata vociante vide ancora meno. "La vecia, la veciaaa! " urlò il capobanda giunto per primo ai grappoli dorati e diè di volta come un cerbiatto scovato dal lupo e rimontò il viottolo con la foga di un centometrista. La truppa si arrestò affondando i calcagni nudi nella terra arata, intravvide l'ombra nera che agitava il bastone, rifece la strada urlando, passò davanti alla nonna, della quale non notò lo strano sorrisetto, e si chiuse nella stalla. Cencio organizzò subito la difesa: sbarrato il portone puntellato con le forche, i badili e i picconi, abbassate in fretta e furia le finestrine che verso nord davano aria alle mucche ruminanti in pace, rinforzato ogni pertugio con tavole e pali: la fortezza era imprendibile, lo spavento ancora più grande. Non riuscivano a capacitarsi della apparizione fuori tempo della befana; al sei gennaio mancavano parecchi mesi, nè in casa si era mai sentito parlare di comparse fuori della data stabilita dal calendario. Quante ore la banda di Cencio restò asserragliata nella stalla non si seppe mai e ci volle tutto il sarcasmo dei familiari per farla uscire prima di sera. Ancora dicono che da quel caldo meriggio di fine agosto l'uva d'oro presenta tutti i suoi grappoli integri fino al giorno in cui faranno bella mostra di sè nei cesti portati al mercato di Piazza Trento. E ancora c'è chi sulla befana che ha la sua dimora nascosta nel cantinone del Palazzo del Principe si sente di giurare come sul Vangelo.