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Silvio da Baone

 

Baone

Veduta

Il feudo di Baone, che si incunea pìgramente tra i contrafforti del Salarola, del Castello e del Monte Cecilia fino al vertice della "spaccata" e si apre da un lato verso la grande pianura, è legato ad Este da secoli di storia passata e da esigenze vitali. Ma non è soltanto la breve distanza che lo separa dalla cittadina; è il complesso di interessi economici ed affettivi che lo rendono particolarmente vicino ad Este. Le risorse di un paese disteso lungo la strada provinciale, in parte ancora bianca di polvere durante l'estate o ricca di buche fangose durante l'inverno, non sono tali certamente da farlo assurgere al rango di importante nodo stradale, anche se la via pedemontana dei Colli si dirama dalla sua piazza triangolare in tre direzioni. L'economia esclusivamente agricola, costretta dai limiti della natura del terreno collinare e dal frazionamento antico, non riesce a soddisfare le esigenze di chi guarda alla vicina città come al paese di Bengodi. Si capisce allora perché la strada di tre chilometri, che lo unisce al centro vicino, è percorsa mattina e sera da file lunghe di biciclette e di moto. Sono gli operai che si recano nei vari cantieri; sono gli scolari e i garzoni che strimpellano senza pensieri all'imbocco della stretta di Ca' Borini; sono le sartine e le servette che sciamano per le botteghe e le case estensi; sono, al mercoledì e al sabato, le contadine con i cesti di frutta e i panieri di pulcini e anatroccoli pigolanti sotto il fazzolettone nero che li nasconde alla luce del sole: il mondo semplice e buono della laboriosa gente del nostro Veneto. Dal territorio di Baone vengono i frutti saporiti che dalla primavera all'autunno allietano le nostre mense, il latte che sa ancora di erba fresca, e parte di quel vino scintillante che matura sui costoni bianchi di calcare. Dalle falde del Monte Castello giungono i massi di trachite trasportati dai grossi autocarri che rompono col loro infernale frastuono la tranquillità del sito. Altro di notevole non ci sarebbe da registrare, se nel feudo non vivesse un personaggio singolare il cui nome è legato ormai per antonomasia al paese natio: Silvio di Baone. I registri dell'anagrafe comunale segnano con diligenza tutti i dati relativi al suo casato, dall'età alle condizioni familiari; noi lo conosciamo per Silvio di Baone e per la nostra storia ciò è sufficiente. Non è merce di esportazione Silvio, e neppure un personaggio illustre per censo o per abilità personali; lo rende famoso la facoltà di sentire il tempo. Quando l'afa di luglio stagna immobile sui campi e sulla città, e le cicale riempiono del loro frinio tutte le ore del sole e la terra sitibonda reclama la pioggia benefica, è un vero sollievo sentire da lontano la voce che annuncia: "Doman piove!". Se invece la bora di gennaio trascina per il cielo verso occidente i nuvoloni oscuri e l'aria tagliente ti ostacola il cammino appena esci dalle mura protettrici del castello, l'annuncio di Silvio: "Doman nevega" ti aggiunge un brivido al tremore che già senti. Ma non gli puoi far nulla: Silvio è l'innocuo barometro che registra fedelmente il mutare della pressione e traduce le variazioni in un suono cavernoso per tutte le contrade della città. Parte dalla natia Beone, percorrendo la strada provinciale, tanto più veloce quanto più è vicino il mutamento che deve comunicare. D'estate non consuma scarpe; un pantalone ripiegato alla pescatore fin sopra il ginocchio gli lascia scoperte la gambe destra; un gilè, e spesso anche due, gli ricopre le camicia dalle maniche rimboccate, in testa un cappello di paglia, o un berretto, o anche niente, nonostante la furie del sole. Si appoggia ed un bastone per via della gambe destra infortunàta che lo fa zoppicare leggermente. Fu un incidente occorsogli quasi sul lavoro. Era stato chiamato a badare una coppia di vacche aggiogate durante le fienagione; l'odore dell'erba deve essere andato alla teste degli animali imprigionati dalla museruola.

Baone

Il prato antistante la chiesa

Silvio, allora giovane inesperto e doppiamente sbadato, non riuscì a trattenere le bestie che partirono al galoppo verso il mucchio più vicino. Una ruota del carro gli passò sull'arto e lo ferì seriamente tanto che lo si dovette trasportare in una clinica di Padova. Me davanti ai medici e egli apparati, egli non volle saperne di ingessature, di busti, di stecche; reagì, smaniò, gridò, si contorse. Lasciato in pace, guarì; ma da allora zoppica anche della gamba destra. D'inverno, una volte calzava i grossi zoccoli borchiati che strepitavano sui marciapiedi; ora il progresso gli ha fornito gli stivaloni di gomma, gialli, silenziosi, eleganti ed egli arranca per le strada, felice di questa "chiccheria", completata da un impermeabile stinto e da un paltò enorme che gli tira sul davanti. Se gli regalano qualche indumento smesso, ostenta la sua gioia, indossandolo sopra gli altri che già possiede e portandolo per qualche giorno di seguito. Silvio è un adulto che ha passato le cinquantina ormai, me il suo sviluppo psicologico si è arrestato all'età felice dell'infanzia. Suggestionabile, beve tutto ciò che gli propinano coloro che egli ritiene amici. Se la farina non è buona, è colpa del mugnaio e Silvio sta trattando, de un po' di tempo a queste parte, l'acquisto di un mulino presso un negozio di ferramenta di Este. Naturalmente l'affare viene rinviato da una settimana all'altra ed egli torna ostinatamente puntuale a richiedere la merce ordinata, ogni volta che i vicini gliene fanno menzione. E' capace di venire a piedi in città soltanto per questo. Con il chiodo fisso, arranca allora slienzioso per la via, a capo chino e non ci sono distrazioni che lo possano sviare dalla meta: in quei momenti non dà udienza ad alcuno. Permaloso, reagisce anche col pianto alle parole grosse che gli vengono dette e agli scherzi che gli combinano. Talvolta, lacrimando e bestemmiando come due turchi, passa per la strada come una povera anima in pena. E' stato visto davanti ad una caserma cittadina ripetere all'infinito: " Io non faccio male a nessuno; allora gli altri mi lascino stare ". E li graduato di servizio aveva il suo bel da fare per allontanarlo dall'ingresso: Silvio tornava alla carica con l'ostinazione propria dei fanciulli. Capita anche che non voglia farsi pulire e stirare, perché teme di essere poi offerto in olocausto ad una certa signora, esistente solo nelle sua fantasia. Che cosa vorrà poi questa signora audace da un povero fanciullone come ,Silvio, egli non ve lo sa dire! Buon tempo della sua giornate lo trascorre occupato nell'"hobby" preferito: il lavoro del falegname. Ha la sua morsa, trapani con le diverse punte, seghe, attrezzi più minuti e una serie di mole per molare coltelli, accette, scalpelli. Un giorno arrivò in città trascinando un carrettino da bambini, costruito da lui, sul quale aveva installata una grossa mole, mentre ne portava sotto il braccio un'altra di ricambio. Con il logorio della vita moderna, una mole di scorta non fa mai male! Ma tutta l'attrezzatura gli serve ad uno scopo preciso: la costruzione di trottole e di "ràcole". Ne possiede ormai di tutti i tipi: trottole a cono, a damigiane, da frusta e da cordicelle.

Baone

Chiesa dell'Ave

A semplice richiesta ed anche a pagamento, si esibisce sulla piazza, sotto i portici, sull'asfalto, come il più spigliato dei nostri monelli. Sa anche farsi la réclame con la canna fatta girare attorno ad una rotellina dentata, fissa ad un manico. Le raganelle perdono la loro sonorità dopo il folle roteare di un solo viaggio in città e Silvio si rimette al lavoro con le canne pazientemente raccolte durante te sue frequenti salite e Calaone. Gli succede così di essere ingaggiato anche come banditore: "Domenica sagra a Valle", "Da Manelle si balla". Grida e si sgola fino a perdere la voce, gioca e cammina senza stancarsi, ma una cosa non vuol fare: Sivio non vuol lavorare. Con Severino siamo stati a Beone e vedere dove e come vive quando non è in giro per te strade. Sull'aia della vecchia casa, posta sul costone che sovrasta. la via per Valle S. Giorgio, ci ha accolti l'abbaiare del cane legato a catena e la cognata che, sposando il fratello di Silvio, si è trovata sulle spalle anche questo non lieve peso. E' gente di antico stampo, mattiniera e laboriosa, legata ai pochi campi, alle vigne piantate sul pendio della collina, alle quattro vacche che forniscono il latte da cui solo si può ricavare settimanalmente il poco denaro liquido indispensabile. Abbiamo saputo che, alla morte dei genitori, Silvio è diventato un proprietario: un campo di terra e una cameretta in una casa subito al di là della strada. Ma se non fosse per l'accortezza e l'instancabilità del fratello maggiore che non conosce riposo dall'alba al tramonto, chissà dove sarebbe andata a finire a quest'ora la proprietà! Perché Silvio mangia a quattro ganasce fette di polenta sempre grandi e non è di alcun aiuto nel faticoso lavoro del campi. Appena il gallo canta, egli si alza e si presenta alla porta della casa del fratello a domandare pane. La cognata non fa tempo a voltarsi, che egli ha già divorato tutto. Poi sparisce per i suoi affari e ritorna a mezzogiorno suonato per li pranzo. A sere sbuca all'improvviso sull'aia, si avvicina alle tavola e ingoia polenta, anche senza niente, se la cognata non è pronte e scodellargli il companatico.

Baone

Villa Mantua Benavides

Ci fu una volta, diversi anni fa, che ti fratello gli propose di aiutarlo a scavare una fossa per le vigne. Per essere esaudito più alacremente, gli promise del denaro a termine delle fatica. Silvio si diede da fare e alla fine chiese le ricompensa promessa. Il fratello cercò di fargli comprendere come, vivendo tutti nelle stessa casa e mangiando alle stessa tavola, non ere il caso di parlare di paghe e di denaro per un lavoro che infine restava in famiglia, a vantaggio di tutti. Ma Silvio non volle conoscere ragioni, si sdegnò e rimuginò una sua vendetta: all'indomani, lavorando sotto l'impeto della rabbia, ributtò tutta la terra levata nelle fossa appena aperta. Al fratello non rimase che piantare le vigne che ancore oggi rigogliano sul campo! Me fatti come questo, da allora, non accadono più. Matto sì, ma per lavorare.., un dritto! Una squadra di operai stava piantando a fatica un palo di cemento per una linea elettrica in quel di Baone. Nella grigia mattina autunnale i giovani scorsero Silvio e subito gli chiesero se andava a dar loro una mano. La risposta, accompagnata dal caratteristico gesto della mano, fu immediata: "Va là, caro. Non sai che io sono matto e non possa lavorare?". Intanto continua a divorare e ed essere una grave preoccupazione per la sua famiglia che, con le modestissime risorse di cui è fornita, ha appena il tempo di badare al proprio lavoro, se non vuol ridursi alla carità. D'altra parte una sistemazione per Silvio in un qualche ospizio sarebbe per lui come una condanna a morte. Libero, indipendente, egli vive sereno tra una casa colonica e un'altra, tra le gite a Calaone e i viaggi per l'affare del molino ad Este. Nelle giornate di sole si sdraia a dorso nudo in mezzo ai campi per la tintarella. Quando i tafani e le mosche cavalline lo infastidiscono maggiormente, o lui stesso dà fastidio a qualcuno, gli dicono: "Vai ad Este a dire che piove"; allora viene ad annunciare che il tempo "tàmbara" o che li temporale sarà con tuoni e fulmini. Per tutto il resto, se è lasciato in pace specialmente da quelli che gli si mostrano generosi con un bicchiere di vino per vederlo andare fuori delle grazia di Dio, è il più innocuo dei pazzi che sono in circolazione. E può anche consolarsi: non è il solo a "sentire il tempo".