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Trebbiatura sui colli

 

Colli Euganei

I campi dopo la mietitura

Dallo stradone che ricama con una linea bianca le estreme propaggini dei Colli Euganei viene il rombo del trattore e lo sferragliare della trebbia rossa. L'eco del canto grave si arrampica sui dossi, infila i "calti" disegnati dal nero ammasso delle robinie e giunge alle bianche casette nascoste tra il verde. E' il segnale atteso, è il "via" per la più grande fatica annuale del contadino dei nostri Colli. Già dai giorni di S. Antonio il grano è stato mietuto a mano e riposa in mucchi a forma di croce nelle stoppie assolate. Poi i capi delle famiglie han preso gli accordi con i trebbiatori, sempre i soliti che conoscono ormai tutti i sentieri praticabili del monte, ma non salgono prima di aver ultimato la trebbiatura al piano. Finalmente è giunto anche lassù l'avviso di predisporre ogni cosa. Sono stati altri giorni di fatica per gli uomini e per le bestie; dai campi all'aia i covoni sono stati trasportati sui bassi carri a due ruote e ammonticchiati in un colossale prisma: tutto è pronto. Quando il canto del trattore annuncia il suo arrivo, i primi a registrare la novità sono i fanciulli. Partono a razzo per richiamare i vicini all'appuntamento, scarrozzano giù a valanga attraverso i campi, lungo i sentieri, rifanno di corsa la strada a sollecitare, a riferire ordini, a prendere un arnese dimenticato sotto il portico. Per trascinare la pesante macchina fino alle aie più lontane la potenza del trattore non è sufficiente. Ecco allora montanari in concordia che traggono dalle stalle la coppia di vacche e tutti in perfetta armonia affrontano la lotta. L'unica via di salita è una strada incastrata tra due alte rive; d'inverno è un corso d'acqua che scende impetuosa al piano; d'estate è un corridoio gremito di verde, di silenzio e di frescura. Le coppie di animali vengono collocate davanti alle macchine: il contadino più esperto afferra la capezza della coppia di testa, i trebbiaioli si appostano alle ruote con le leve in mano; dall'alto delle rive i ragazzi spiano accoccolati attorno ai cani. Quando il primo fischio lacera il singhiozzo del vecchio trattore, gli animali marcano il collo robusto sotto il giogo, le catene si tendono nello strappo violento e la rossa trebbia ha un sussulto poderoso.

Colli Euganei

I campi dopo la mietitura

Tra le grida acute e roche dei conducenti, alle quali si mescola l'abbaiare dei cani e l'incitamento dei ragazzi dall'alto delle rive, tra l'ansimare più accelerato del trattore che manda al cielo nuvolette di fumo, il veicolo affronta la salita ballonzolando. Ad ogni pietra affiorante dal fondo ineguale inclina il suo nero muso spalancato, ad ogni fossatello che taglia diagonalmente la strada fa risuonare la terraglia che nasconde nel ventre. E' uno sforzo bestiale, è una tensione spasmodica: è la grande fatica annuale del contadino dei Colli. Di tratto in tratto bisogna arrestare la marcia per consentire agli animali di riprendere fiato, agli uomini di tergersi il sudore. Si distingue da lontano il soffio violento che esce dalle froge fumanti delle mucche, si ode il vociare dei contadini che hanno osservato il tiro delle bestie e il parlottare dei trebbiatori che scuotono il capo ad ogni sobbalzo. Sotto le robinie i cani con la lingua penzoloni cercano l'ombra più densa; i ragazzetti più audaci sporgono a mezza costa gli occhi curiosi. La lenta arrampicata della carovana smorza l'impazzito frinio delle cicale e il frastuono mette in subbuglio la prima casa dove sosterà il convoglio. Sull'aia raschiata dalla prepotente gramigna, si eleva la grande bica; intorno riposano ancora per poco i tridenti, i rastrelli, le scope, i lunghi pali, le barelle per la pula e i sacchi afflosciati. Giungono poi cotti dal sole, con i cappelli di paglia dalle tese spioventi e il grande fazzoletto annodato al collo, i vicini che sosterranno il peso della giornata al servizio della trebbia. C'è il tempo per fumare l'ultima sigaretta, mentre la figlia di casa gira con la caraffa del vino serbato per l'occasione. In cucina la massaia ha la sua gran giornata anche lei: il pranzo tocca a lei perché la trebbia comincerà il lavoro prima di mezzogiorno e bisogna fare bella figura. Tagliatelle all'uovo da fabbricare a mano a furia di polsi, lo "schisotto" da cuocere sopra il focolare ben riscaldato, i galletti novelli da arrostire a puntino: è tutto un impegno che richiede sudore come a chi si danna intorno alla trebbia, fuori sotto il sole di luglio. L'ultima rampa che conduce all'aia incorniciata di ombre stronca le ultime energie degli animali, coperti di schiuma; ma l'odore della stalla vicina ha una potenza maggiore di tutte le urla che accompagnano il lento progredire delle macchine. Giunti sul breve spiazzo, qualche coppia tenderebbe a proseguire nello slancio, se il lesto bastone del contadino che picchia sui musi ansanti non togliesse l'inutile velleità. Le catene si allentano, i gioghi pendono con un rumore di ferraglie, mentre il trattore da solo conduce la trebbia sotto la grande bica.

Colli Euganei

I campi in collina

C'è appena il tempo di assaggiare un bicchiere di vinello, non troppo fresco data la calura, e poi via con le mucche che vogliono la loro parte di acqua sorbita a lunghe sorsate nella fontana nascosta tra i pioppi. E' la volta, ora, dei trebbiaioli: bloccare le ruote, rimettere le cinghie, controllare i setacci, aprire l'impalcatura lassù attorno alla bocca del battitore, collocare la trattrice a giusta distanza affinché la grossa cinghia possa trasmettere a dovere il moto a tutte le ruote, rotelline, pulegge, bielle che l'uomo ha messo insieme per alleviare in parte la fatica della cernita dei grani preziosi. Quando il motore cessa gli ultimi squilli del canto di marcia per prendere la cantilena di lavoro, capace di durare per ore e ore sullo stesso ritmo melanconico, la trebbia inizia il suo ululato profondo e chiama attorno a sé gli ultimi ritardatari. Inerpicato sul tetto della bica, il più robusto fa scendere dolcemente i covoni ed ha occhi da trionfatore su tutto il tramestio, perché la fatica per lui è abbastanza lieve in quel momento; più tardi, quando dovrà sollevare i pesanti covoni dal piano sconnesso della bica che diminuisce, allora sarà forse il più sacrificato. Attorno alla bocca del battitore che urla il suo canto di distruzione, il trebbiatore afferra i covoni a manciate e li caccia tra le fauci ingorde. Una contadina, per lo più giovane, gli fa trovare accanto il covone slegato e, mentre si gira per disporre sul paletto infisso ad un angolo della impalcatura il legaccio di erba palustre, fa ruotare la gonna a fiorami accesi. I giovanottelli che stanno caricando la pula gettano a tratti occhiate assassine alle gambe che si mostrano e poi infilano al galoppo la collinetta che sta crescendo e sprofondano nel mucchio soddisfatti della propria audacia. Attorno alla bocca della trebbia vi è un inferno di polvere e di rumore; la paglia esce a ondate continue e si deposita sul terreno che bisogna subito sgomberare.

Colli Euganei

I campi ai piedi dei colli

I due sacrificati manovrano con abilità i tridenti e preparano la paglia in modo che un solo portatore con una lunga pertica di castagno ne può caricare un volume assai ingombrante. Sul pagliaio, quasi sempre lontano dalla casa, un esperto sta creando il mucchio destreggiandosi attorno al palo, aiutato da un altro cesellatore armato di bidente. Con quale abilità il cilindro di paglia saponosa acquista la sua forma ed aumenta di quota! Lontano dal rumori violenti, questo è il posticino tranquillo dove si può continuare a discorrere dei propri affari e a gustare di tanto in tanto il bicchiere che il capoccia fa circolare con studiata generosità. Ma il luogo dove si concentra la curiosità del massaro e dei vicini giunti a trarre gli auspici da questa prima trebbiatura è il piccolo rettangolo da cui piovono i chicchi dorati. La mano avida se li lascia scorrere sul palmo per controllarne la purità, il pugno esperto li stringe per saggiarne il grado di umidità, due, tre volte perché quel grano ha una sua nascosta dolcezza che ripaga in quegli istanti i sudori di una annata intera. Attorno si agita la mimica del confinante fatta di grandi cenni affermativi e di occhiate compiaciute, a cui risponde il gesto di incertezza non convinta delle mani callose e il tentennante dondolio della testa del colono giustamente mai pago o ricompensato a sufficienza della sua fatica. Quando la misura di ferro è colma, quattro mani riversano il frumento nel sacco; due spalle giovani si caricano del dolce peso che andrà a costituire il mucchio nel modesto granaio. Sul foglio di carta non più candida, inchiodata ad una asse della trebbia, una piccola asta tracciata con un mozzicone di matita segnerà il progredire del lavoro e darà la misura della quota a cui potrà giungere la contentezza del contadino. Il sole contempla dall'alto l'agitazione degli uomini e li perseguita con il suo ardore, facendo stillare da ogni centimetro di pelle gocce di sudore; l'aria immobile mantiene accanto alla macchina tutta la polvere che il battitore ha saputo spremere dai covoni ingurgitati dal motore, le bielle, le pulegge vanno a gara nel creare rumori, scoppi, sbuffi, ululati, singulti, strazi che vanno a sconvolgere la quiete sonnolenta dei campi. E' la trebbiatura, la grande fatica annuale del contadino dei nostri Colli.